Di seguito l’articolo del nostro presidente Alfredo Ferrante, pubblicato su Formiche.net, sulle proposte delle nuove norme sui licenziamenti nel pubblico impiego:
Rieccoli: immarcescibili, instancabili, pronti a cogliere l’occasione. Quella che fa l’uomo ladro ed il dipendente pubblico truffatore. I furbetti del cartellino colpiscono ancora, dopo lo scandalo del Comune di Sanremo. Guizzano fra il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari a Roma ed il Primo Municipio della Capitale, come ha raccontato qualche giorno fa Piazzapulita.
Non casualmente, Matteo Renzi annuncia subito dopo che nei prossimi decreti delegati della riforma della PA voluta dal Governo verranno inseriti provvedimenti tesi ad accelerare la sanzionabilità (sino al licenziamento) di chi si assenta in maniera truffaldina dall’ufficio. Bene: è innegabile che in questi casi la pur necessaria fase di accertamento e contraddittorio ha portato a procedimenti lunghi e farraginosi che spesso restano lettera morta.
Diciamolo chiaro: siamo di fronte ad una patologia che va stroncata senza esitazione, e su questo sono in prima fila i dirigenti pubblici, che devono avere il polso di come marcia la macchina che dirigono. Di fronte a comportamenti illeciti di questo tipo deve essere immediatamente avviato il procedimento disciplinare e, contestualmente, va notificata la Procura della Repubblica. Chi truffa lo Stato avendo l’onore di servirlo e’ il peggiore nemico di chi nella PA ci crede e va sanzionato senza se e senza ma.
Chiarito senza equivoci il punto, dobbiamo, tuttavia, farci qualche domanda. Resi i dirigenti degli efficienti casellanti, questo porterà più efficienza nella macchina pubblica? Anche posti ai ceppi di fronte ai loro computer, i dipendenti pubblici faranno il loro dovere con entusiasmo? Fare il sorvegliante equivale a fare il manager di risorse pubbliche? No, evidentemente.
C’è un tema che viene costantemente ignorato e che resta drammaticamente assente dal dibattito pubblico: che gli uffici pubblici siano popolati di robot (impiegati, funzionari, dirigenti) ai quali basta impartire un comando perché quella tal cosa avvenga è una pericolosa illusione di matrice fordista, vecchia e irreale. Nella vita di un qualsiasi ufficio pubblico di tutti i giorni contano le persone, con le quali occorre instaurare un patto di squadra, comunicando cosa si deve fare, come, con quali risorse e in quanto tempo.
Sono le persone che vanno gestite, come e quanto il denaro pubblico, se si vuole avere una qualche speranza che le politiche pubbliche messe in piedi vedano una qualche traccia di successo. E’ una responsabilità che sta in testa alla dirigenza pubblica, in primo luogo, che deve fronteggiare una dimensione eminentemente organizzativa. Eppure, gran parte della dirigenza oggi in servizio, pure nella sua gran parte assai valida, ha una formazione amministrativa e contabile eccellente, masticando assai poco di organizzazione.
Un ufficio, insomma, non si governa (solo) con protocolli, ma con l’esempio, le pratiche, col governo di fattori che di burocratico hanno davvero poco. Chi insegna al dirigente, al funzionario, al dipendente come gestire il proprio tempo, la relazione con i colleghi, come raggiungere al meglio gli obiettivi prefissati? Una circolare in perfetto burocratese? Serve, in ultima analisi, imparare a crescere come squadra, lavorando su tutti i giocatori.
Il pelandrone vendiamolo pure, ma se non si punta sullo spirito di appartenenza avremo un efficiente Stato di Polizia senza ricadute effettive sui cittadini. C’è una enorme prateria da esplorare oltre il fannullonismo: chi organizzerà le esplorazioni che servono?