Con la legge delega sulla “riforma“ della PA, potremo assistere alla occupazione della burocrazia da parte del Governo. Come? Nominando e condizionando non solo i massimi vertici (Capi di Gabinetto, Capi dei Dipartimenti o delle Agenzie), cosa che può legittimamente fare già adesso, ma anche tutti gli altri dirigenti, fino ai capi ufficio.
La legge delega, in primo luogo, non va a toccare la possibilità della politica di nominare dirigenti persone prese dall’ esterno, senza concorso: il caso “Incalza”, evidentemente, consulente chiamato e richiamato dalla politica, non ha insegnato nulla.
Ma, soprattutto, consente alla politica di privare i dirigenti di carriera di ogni incarico, mettendoli a disposizione per licenziarli dopo due anni, senza alcuna motivazione. In altre parole: arbitrariamente. Oggi i dirigenti possono essere privati dell’incarico, ed anche licenziati, se commettono illeciti o se il sistema di valutazione accerta che hanno amministrato male. Con questa “riforma” potranno essere licenziati a discrezione della politica, che acquista così un formidabile strumento di pressione nei loro confronti.
La Corte Costituzionale ha già censurato più volte leggi di questo genere perché violano l’imparzialità dell’amministrazione, ovvero il principio di distinzione tra politica ed amministrazione. Per il quale spetta alla politica la decisione di costruire una scuola, o dare un servizio ad una categoria, di come farlo, di quanto denaro spenderci, mentre ai funzionari di carriera compete fare la gara di appalto o di organizzare il servizio, secondo le leggi ed in modo imparziale. Ma se la politica ha il potere di mandar via i funzionari senza doverlo motivare, ha anche il potere di “convincerli”, per le vie brevi, a manovrare l’appalto verso una cooperativa “amica” o a dare il servizio a persone cui non spetta, ma che votano “bene”.
Le nostre associazioni vogliono dare credito al Governo dello sforzo di una riforma di respiro, e per questo abbiamo presentato nei mesi scorsi le nostre proposte, riunite oggi in un documento unitario a disposizione del Parlamento.
Tuttavia, dobbiamo essere chiari sui rischi che ci si parano innanzi.
La prima radice della corruzione sta nel rapporto perverso tra politica e amministrazione. Gli Incalza e gli Odevaine non sono funzionari di carriera, ma personaggi messi al vertice delle amministrazioni dalla politica, per eseguirne i comandi. I dirigenti di carriera, assunti per concorso come prescrive la Costituzione e licenziabili solo se c’è una giusta causa, possono resistere alle pressioni illecite e gestire le attività dell’amministrazione secondo la legge.
La riforma della dirigenza pubblica, perciò, deve andare nel verso opposto a quello della delega, non precarizzando ulteriormente, ma rafforzando le burocrazie professionali con selezioni meritocratiche, massicci interventi formativi, processi di valutazione effettivi e produttivi di conseguenze. In applicazione dei principi della Costituzione in materia, che anche la riforma in corso lascia intatti.
Siamo dirigenti della Repubblica, e di nessun altro. In quanto tali, dobbiamo rendere conto alla legge e ai cittadini. Politica e amministrazione hanno ruoli diversi e complementari, in un quadro democratico in cui sia chiaro chi dà gli indirizzi e chi è chiamato a portare avanti le politiche. La leale collaborazione per l’efficienza dei servizi ai cittadini impone chiarezza e distinzione di ruoli nel rispetto reciproco. Su questo ci mettiamo la faccia, oltre che la nostra professionalità.
Alfredo Ferrante – Allievi SNA
Pompeo Savarino – Agdp
Antonio Zucaro – Nuova Etica Pubblica