Mentre si attende l’illustrazione alle Camere delle proposte contenute nel programma del Presidente incaricato, continuano le bordate a palle incatenate sulla pubblica amministrazione: meglio buttarsi dove c’è il sangue, potrebbe pensare qualche malizioso. Non sono un mistero le idee che Matteo Renzi coltiva su alcuni aspetti della cosa pubblica, alcune condivisibili, altre, esposte poco più di un anno fa a Ballarò, molto meno. Ma si sa, cavalcare l’antipolitica e l’anti-casta fa presa sulla pubblica opinione, anche se si rischia di gettare via il bambino con l’acqua sporca. Ecco perché non mi sono meravigliato più di tanto di leggere, quasi all’unisono, gli ennesimi articoli denuncia sulla P.A. su La Stampa, il Corriere della Sera e l’Espresso, dove ho trovato una grande verità, gravi inesattezze ed imperdonabili irresponsabilità.
La prima sul quotidiano torinese, che profeticamente scrive: “Come sforbiciare gli stipendi di migliaia di dirigenti pubblici non è chiaro. Forse passando per la trasformazione dei contratti da tempo indeterminato a tempo determinato. Oppure la via giusta potrebbe essere una ricontrattazione degli stipendi. Epperò nella segreteria di Renzi si ragiona proprio su una mossa ad effetto che magari inimicherà al nuovo governo qualche migliaio di dirigenti pubblici, ma servirebbe a conquistare milioni di voti”. Mi sembra chiaro. Idee legittime, certamente. E, naturalmente, contestabili e criticabili. Il Corriere della Sera denuncia invece la necessità della “fine della giurisdizione dei Tar sulle controversie nel pubblico impiego, che passerebbe così al giudice ordinario” e di rivedere “le norme che nel 1972 hanno reso di fatto inamovibili i dirigenti pubblici, per i quali si potrebbe profilare la libertà di licenziamento come nel privati”. Peccato che siano cose fatte da decenni. Ma è il pezzo dell’Espresso che lascia davvero basiti. Non solo si ripesca la gigantesca bufala dell’OCSE secondo cui i tutti dirigenti italiani percepirebbero qualcosa come 40.000 euro al mese (ditemi dove devo firmare, anche col sangue!), ma si fa passare l’idea che la dirigenza italiana (mettendo dentro anche militari e magistrati) sia composta da 200.000 (!) pigri e furbi Paperoni di Stato, mantenuti dai contribuenti. Mantenuti. E questa operazione esclusiva, come viene definita, parte dalla denuncia dei redditi di alcuni dei più alti dirigenti pubblici come il Direttore Generale del Tesoro o il Ragioniere Generale dello Stato, la cui occupazione meriterebbe evidentemente una mancetta a fine mese, buttando nel frullatore Camera dei Deputati, Corte Costituzionale, Authorities. Non vado oltre: invito alla lettura del pezzo di Luigi Olivieri, dirigente pubblico e commentatore su Lavoce.info, per smontare questo castello di carte.
Il punto è un altro. Come Associazione dei dirigenti che vengono dalla Scuola Nazionale di Amministrazione abbiamo denunciato da un paio di lustri le storture che ci sono nella macchina amministrativa, sgolandoci però a fornire dati che smontino i luoghi comuni e dicendo che occorre far valere merito e competenza, ad esempio reclutando la dirigenza dello Stato (e perché no, anche quella delle regioni e degli enti locali) attraverso il meccanismo del corso-concorso: una sorta di accademia della dirigenza, per i profani, per chi nella P.A. ci vuole lavorare davvero ed è disposto a farsi 18 mesi di corso per avere un ufficio chiavi in mano. Abbiamo detto in tutte le salse che occorre limitare se non cancellare l’accesso dei magistrati contabili ed amministrativi ai posti di vertice delle amministrazioni perché, a fronte della eccellenza giuridica che essi rappresentano, i rischi di conflitti di interesse sono evidenti. Abbiamo ricordato alla politica che occorre dare un taglio alla dirigenza fiduciaria, che non fornisce garanzie di imparzialità ai cittadini. Eppure, mentre 106 ragazze e ragazzi ancora aspettano, dopo un anno e mezzo di corso esami e stage presso la Scuola Nazionale di Amministrazione, di essere messi alla prova nello Stato con tutto il loro entusiasmo quando abbiamo davanti la prova del semestre europeo, si preferisce parlare d’altro, alimentando la sacrosanta rabbia dei cittadini e dirottandola con armi di distrazione di massa che sembrano servire scopi a me ignoti. Se questa è la strada che si vuole scegliere per far rimettere in carreggiata la macchina dello Stato italiana, ciascuno si assuma le proprie responsabilità: io non ci sto. E continuerò, assieme ai tantissimi impiegati, funzionari e dirigenti che fanno il loro dovere negli uffici al servizio dei cittadini a opporre dati e ragionamenti, avendo come pietre angolari solo due cose: la Costituzione e i bisogni di cittadini. Non lamentatevi, poi, se anche i paperini, nel loro piccolo, si incazzano.