La vicenda del pensionato cui l’INPS ha chiesto il pagamento di un centesimo di euro, e che ha portato al siluramento del dirigente della sede di Rimini, il nostro collega Alessandro Romano, merita qualche commento perché è sintomatica dello stato dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, da un lato; ma anche e soprattutto degli assetti interni alle amministrazioni dello Stato.
Riassumiamo: un pensionato si vede recapitare dall’INPS la richiesta di restituzione di un centesimo di euro. Il provvedimento, ovviamente abnorme, viene immediatamente annullato dal direttore provinciale dell’INPS di Rimini che inoltre chiede pubblicamente scusa al cittadino.
Dunque un caso da manuale in cui il pronto intervento di un dirigente, Alessandro, appunto, risolve – a tempo di record – una situazione incresciosa, frutto di un errore evidente: meritevole semmai di un elogio. Macché. La stampa strilla sul fatto, l’immancabile Codacons annuncia denunce. L’INPS allora dirama un comunicato secondo il quale “Al termine dell’inchiesta di audit è stata individuata la responsabilità dell’operatore, che verrà sanzionata, e del mancato controllo da parte del direttore della sede Inps di competenza, che è stato rimosso e destinato ad altro incarico”: a tutti gli effetti un provvedimento disciplinare diffuso a mezzo stampa, una cosa mai vista prima.
Sul pensionato si gettano i mass media nazionali, ansiosi di intervistarlo.
A difesa di Alessandro Romano si levano le voci della politica locale, dei sindacati, e nel suo piccolo, anche della nostra Associazione, che lo conta tra i suoi soci più stimati. Perché Alessandro è uno degli Allievi della SSPA, e perché chi lo conosce sa quanto sia lontano dallo stereotipo del burocrate ottuso ed insensibile. Ma soprattutto perché i risultati che ha ottenuto sono lì a dimostrarlo: in pochi anni ha portato l’INPS al primo posto in Emilia Romagna, su 15 parametri misurabili. Carta canta e villan dorme.
Ora, la vicenda è emblematica per molti aspetti: c’è il sensazionalismo che anima la nostra stampa, ansiosa di buttarsi sull’ennesimo caso di mala-amministrazione (il prefisso mala- ormai è tralatizio negli articoli di giornale che parlano di PA: mala-giustizia, mala-sanità, etc.), e con tipica pigrizia non si preoccupa di approfondire; c’è la voglia di ribalta, da cui non sono esenti associazioni come il Codacons, che, a suon di denunce e comunicati stampa, da anni si sono guadagnate nelle cronache un posto fisso ed esageratamente rilevante come paladine dei consumatori e cittadini.
C’è insomma tutto il meccanismo mediatico-circense per cui una notizia, del tutto irrilevante, viene montata ad arte per farne dei titoloni e delle polemiche, alimentando la visione manichea per cui i cittadini sono sempre vittime innocenti dello Stato e dei suoi rappresentanti. Come scrissi in un altro post, noi dirigenti pubblici siamo “cittadini al di sotto di ogni sospetto”.
Ma c’è anche dell’altro. Quello che non ci piace proprio per niente, nella vicenda, è il modo disinvolto in cui i vertici dell’INPS hanno pensato di sacrificare il collega di fronte alla montante indignazione mediatica.
Ci sembra che, di fronte a una persona con tante benemerenze come Alessandro, si sarebbe potuta usare più delicatezza e più cautela. Dopo tanto parlare di meritocrazia, i risultati ottenuti non contano niente?
Oh, intendiamoci, nulla di nuovo sotto il sole: è antica abitudine delle élites italiane scaricare le colpe sui subordinati. I generali della Prima Guerra Mondiale abbondavano in fucilazioni per far scontare ai soldati la loro stessa incapacità. E non molti anni fa ci è toccato vedere un Ministro della Funzione Pubblica far pubblicare sul sito ufficiale del dipartimento vignette contro i dipendenti pubblici.
Oggi, come cento anni fa, noi che stiamo in prima linea abbiamo la consapevolezza che i colpi più insidiosi dobbiamo aspettarceli alle spalle, da quelli che ci dovrebbero guidare ed essere d’esempio. “Fuoco amico”, lo chiamano.
Imparino, i vertici dell’INPS, dal comportamento di Alessandro, che, scusandosi col pensionato, non ha certo pensato di giustificarsi mettendo in mezzo qualche suo subordinato. Suo l’ufficio, sua la faccia: un vero dirigente si comporta così. Anche in questo, il suo comportamento è stato esemplare, e sintomatico di una cultura della leadership che tutti noi, AllieviSSPA, condividiamo.
Questo vuol dire che non esistono cartelle pazze, cittadini vessati, burocrazia odiosa? Certo che sì. Ma se alla responsabilità individuale e personale ne sostituiamo una oggettiva e categoriale, se infine, come dirigenti e dipendenti pubblici, veniamo a essere chiamati collettivamente a rispondere di tutto ciò che non funziona, ci dite a che serve sforzarsi di cambiare le cose?
La reazione forte che c’è stata sul caso di Rimini è anche il frutto di una nuova consapevolezza della dirigenza, di una sua accresciuta statura professionale. Se oggi possiamo levare alta la nostra voce, contro tutti i tentativi di fare di noi lo zimbello dell’opinione pubblica, è perché siamo sicuri di noi, del modo in cui abbiamo guadagnato il nostro posto da dirigente e dei risultati che vi abbiamo conseguiti. Non abbiamo code di paglia, scheletri nell’armadio, altarini da scoprire: possiamo rispondere a ogni domanda (perché siamo al posto che occupiamo, perché noi e non altri, che cosa facciamo del denaro pubblico che ci viene affidato) in modo sereno e documentato. La coscienza del nostro ruolo e l’onestà con cui lo interpretiamo è l’esatto contrario di uno sterile corporativismo.
Ad Alessandro va il nostro affetto e il nostro sostegno.
Dario Quintavalle
Vicepresidente Associazione AllieviSSPA
Ottima analisi, purtroppo i tempi sono bui